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Galleria Flegias di Roma

mostra personale dall'8 al 28 maggio 1973

presentazione al catalogo di Elio Mercuri

Il sorriso in agguato

Ognuno può partire da dove vuole e arriva dove può; importante è cominciare il viaggio alla ricerca della liberazione, da sé, dall’egoismo, dalla futilità, dallo spazio e dal tempo convenzionali, da ciò che segna e condanna il nostro vivere. Per Antonio Thellung l’inizio è stata la pittura, scelta dopo una lunga meditazione, e maturata nella silenziosa fatica dei giorni come pensiero segreto, nella zona un giorno intravista e da ritrovare, dove le rette parallele si incontrano e c’è la luce di cui parla Eliot: «C’è una luce ferma nel punto fermo del mondo che ruota».

La vita è fuori dal tempo e l’immagine non può che venire sottratta al tempo e allo spazio. Non ha una sua spazialità, se non in quanto negazione e assenza. Ripetizione che non può più avvenire a conservarci l’illusione che essa è, e nel divenire permane in una sua continuità. Questo è il senso della ricerca di Thellung. Il tentativo di ripeterla si trasforma in rinvio che la svuota, né rivela l’ingannevole natura questo suo essere inesorabilmente soltanto in effetto della nostra volontà di rappresentazione. Non già essere, ma ricordo e desiderio. Non abbiamo altro modo di vederla se non in questo esprimerla così, prossima alla separazione Rossella Falk - olio su tela cm 80 x 100finale, segno e colore ormai aggrediti dalle acque della notte, dalla sostanza delle ombre in quanto vagare come ad un limite tra un ricordo e un simbolo, questa fuggevole sembianza nascosta nell’effetto della falda nera di un grande cappello, o fiocco di sciarpa; sembianza remota di qualcosa che non riusciamo più a ricordare, veste che non si appende più neanche a un fiato o respiro. Ma allora questa sensazione di sorriso: il sorriso d sfinge o di chimera, che noi diciamo della natura,

Non c’è spazio per l’illusione. L’artista ha rinunciato a tante certezze per questa certezza di vivere in un mondo di figure fissate per sempre. Ma ormai si è fatto chiaro che è come vivere in balia di sfingi e chimere, che ha amoreggiato con le fallite invenzioni della morte.

Il desiderio della realtà non può dar luogo alla costruzione di un mondo inautentico, sappiamo, perché abbiamo varcato la soglia dello sguardo; abbiamo dimenticato la tenerezza il fascino i giorni i colori; abbiamo incluso la noia nel percorso di un segno e la noia è il tempo che muore, che non ha più senso.

Vivere nel non senso è possibile. Il resto no. È illusione o finzione, quest’inganno che apre le porte del reale. Non-senso in rapporto a sé, al mondo, a questo mondo di relazioni false e di paura. Paura di vivere e paura di morire: non possiamo più a lungo restare in questa condizione di paura.

Eppure, giunta alla soglia della sparizione, quando un segno nel ripetersi repentinamente muta e diviene ombra di un corpo, a limite che include il nulla e la morte, l’immagine raggiunge una sua verità quasi a ritrovare il punto assoluto dell’equilibrio tra il suo essere e l’essere, lì e non altrove, in quest’apparizione che è segreta e suprema malinconia che ci radica a terra; consapevoli, in confidenza col mistero, come nell’angoscia di Kierkegaard. Non conta il limite. Non possiamo varcare il limite; ma a quel punto è un frammento infinitesimale che passa e giunge, e allora non siamo più noi. E ci sorprende il tremore, di fronte al sorriso; sorriso dì sfinge che ci chiama verso un luogo lontano nella perfezione di una sfera.

Dobbiamo superare la memoria. Sostenere la tentazione e la rivolta delle cose; annullare ciò che era bellezza, anche questo erotismo della donna, quasi malia dei sensi che ci tratteneva nel gioco. Come angeli liberty, si sdoppiano, perdono ogni attrazione di fiori e capelli e sensualità estenuata; apparizioni, divengono apparizioni di ombra.

Thellung ha incluso la noia e il non senso nel percorso del segno; ha dovuto operare in questa zona al limite, sfidando silenziosamente il rischio del nulla. Persino dell’arte. Lo specchio, soltanto lo specchio come strumento di antica magia può rivelare la verità. Attraverso il leggero appannamento che l’età diffonde sui cristalli, le apparenze si fanno nebbiose e vane come se dovessero svaporare e lasciare il posto a qualche forma bellissima e increata. Inganno anche questo, poiché tutti gli specchi furono costruiti sopra l’acqua del Lete, e non sono che la forma tangibile dell’oblio. E forse per questo l’uomo è uno specchio che si fa chiaro soltanto con la morte.

Siamo sulla soglia dove una linea d’ombra ricongiunge ogni forma al mare dell’essere. L’inizio può avvenire ovunque. Lo specchio è sparito. E questa luce chiusa e immobile della pittura di Thellung. È passata attraverso tutti gli inferni dei giorni, si è caricata dei rossi di ogni tramonto, dei bleu di ogni notte, dell’ombra: il mare d’ombra che come un fiume ci circonda fino a rinnovare l’incontro, l’incontro con il sorriso, che ci permette di ritrovare la speranza.

Le sue donne sono ormai prigioniere. Prigioniere del senso del tempo, ma del tempo decrescente, del tempo che consuma la vita.

Laddove si è e si resta soli.

Elio Mercuri

 

presentazione al catalogo di Albino Galvano

L’eterno femminino

Il mondo espressivo di Antonio Thellung è caratterizzato da una presenza – che si sarebbe tentati di definir ossessiva — dell’immagine e, insieme, dalla semplificazione, dal lavoro di decantamento della materia e delle forme che a quell’immagine tolgono ogni peso di riferimento naturalistico per trasporla sul piano esemplare Enigma - olio su tela cm 60 x 60dello stile. Uno stile in cui sembra, dapprima, dominar l’esigenza dell’eleganza, con quel rincorrersi e reiterarsi di linee sinuose che evocano il ricordo di cadenze d’art nouveau senza che, tuttavia, il dato culturale prevalga sulla freschezza della sensibilità, ma di cui ci si accorge poi che le ragioni sono ben più profonde e essenziali, connesse a un impegno di lavoro serrato sulla materia e sul tessuto cromatico. In ogni caso, una figurazione che non ha ascendenti diretti, e neppure paralleli nei molti « ritorni » neofigurali di carattere polemico di cui oggi tanto insistentemente si parla.

Di questa sua posizione alteramente appartata il pittore è cosciente, ben deciso a seguire la strada scelta e ad approfondire le proprie ragioni espressive senza guardarsi intorno; sapendo di trovare in se stesso, nella chiarezza della propria visione e nella dedizione accanita all’approfondimento del «mestiere», le più valide premesse per una realizzazione sempre più totale della propria figura d’artista. Ma sarebbe un errore credere che Thellung vagheggi per questo un ideale d’arte distaccata dalla vita, che consideri, come il Mallarmé della giovinezza, l’affermazione che l’arte per tutti è un’«eresia». Thellung ha, al contrario, anch’egli un impegno di partecipazione umana, ma, come egli stesso ci scrive: «Gran parte della pittura d’oggi tende a rispecchiare gli aspetti estremamente drammatici del mondo in cui viviamo, cerca, cioè, in vari modi, di far la cronaca visiva del dramma umano. Se la mia pittura è diversa non è perché io voglia estranirami da questo: al contrario la mia intenzione è quella di esprimere il sorriso e la speranza. Non però un sorriso spensierato e incosciente, ma un sorriso in agguato, pronto a lottare per conquistarsi il posto. Un sorriso che filtra attraverso il dramma e lo riscatta».

Si sa che la pittura non si fa colle idee, e perciò raramente le dichiarazioni programmatiche degli artisti aiutano veramente il critico e lo spettatore. Ma nel caso di Thellung le sue parole, che abbiamo voluto riportare letteralmente, ci appaiono veramente chiarificatrici di una posizione etica ancor prima che estetica. Una pittura dell’ottimismo, dunque? Diremmo piuttosto una pittura che intende far riemergere, nella complessa realtà umana, quell’elemento di aspirazione alla grazia rasserenatrice che non è meno parte di noi stessi di quanto lo siano le angosce, i timori, le delusioni in cui quotidianamente incorriamo. Che poi, questa aspirazione alla serenità si concreti in un ripetuto vagheggiamento della grazia femminile dell'Ewig-Weibliche, sia pure in una accezione tutta vicina alla nostra vicenda di uomini d’oggi, con pudore quasi intimistico, non è cosa che possa far stupire. L’Eterno Fernminino è, certo, una presenza essenziale per un’umanità rinnovata nella gioia, e, come tale, è per Thellung un tema pittorico d’elezione,

Ma veniamo agli aspetti propriamente pittorici di questa sua visione. Le nette campiture, che risolvono nel puro colore ogni accento plastico o chiaroscurale, s’inquartano in una singolare araldica di contrapposizione fra gli elementi rettilinei dell’ambientazione spaziale e le cadenze sinuose delle figure stesse. L’eliminazione di ogni particolare superfluo riporta ogni figura a una specie di immagine archetipica, quasi modello ideale di un’aspetto o di un’altro della femminilità, piuttosto che personaggio individuato. In questo bisogno di disindividualizzazione si inquadra anche quel curioso ricorso alla replica di una medesima figura o di un medesimo atteggiamento in una sola tela. Queste acquistano così talvolta come l’andamento di una figurazione di balletto, sottolineata anche dall’iterarsi del motivo cromatico. Tutto questo potrebbe implicare un certo pericolo di decorativismo se ciò non fosse sempre evitato grazie al lavoro sulla materia, sull’impasto, che toglie ai quadri di Thellung ogni sospetto di nascere da una visione puramente affidata al gioco delle superfici colorate. In realtà una sottile ma reale ribrazione percorre queste tele facendo affiorare tutto un lavoro che appare superato ma non annullato nel risultato estremamente rifinito, Il contrasto tra colori caldi e colori freddi non è meno essenziale in questi quadri della dialettica di linee curve e di linee rette. Cioè, la pittura di Thellung appare semplice alla fine di un lungo lavorio, non è semplicistica all’inizio. Ed è questo uno dei pregi che la rendono affascinante.

Questo lavoro di decantazione sui particolari, questa semplificazione che non è semplicismo, l’abbiamo analizzata dal punto di vista formale, ma essa ha le sue radici nei contenuti, vale a dire in quella visione delle cose e dell’umanità che Thellung mira a sottolineare nei suoi aspetti positivi. E qui dobbiamo, in certo modo, con Gian Luigi Rondicorreggerci. Abbiamo parlato di «disindividualizzazione» per sottolineare quel passaggio dalla contingenza all’universale, dal carattere al tipo, che toglie alle figure dipinte da Thellung ogni aspetto aneddotico, ma il termine potrebbe indurre in errore se fosse inteso come il rifiuto di riconoscere che, se Thellung riesce ad elevare i volti che assume a soggetto dei suoi quadri da ritratti ad emblemi, il suo punto di partenza è in una fisionomia, in un carattere psicologico ben individuato riconoscibile, quando è il caso ai fini della valutazione di una singola opera, attraverso ogni più sottile lavoro di eliminazione del superfluo. In una parola, si tratta di far recedere la cronaca per portar avanti la poesia.

Ci siamo soffermati essenzialmente sull’opera di Thellung dedicata alla figura, e la preminenza stessa di questo soggetto fra i suoi quadri ci giustifica. Ovviamente questo non vuoi dire che quando l’artista si volge ad altri aspetti del mondo la sua capacità di renderne le sigle trasfigurandoe in poesia sia minore. Ma ci sembra che quella preminenza stessa abbia un chiaro significato. Vedere il mondo nelle dimensioni della serenità vuoi dire vedere un mondo riconciliato coll’uomo. E dall’uomo, o, se si vuole, dall’umano nel suo aspetto non di forza ma di grazia, cioè dalla donna, è naturale che parta questo processo di riscatto. Altri potrà dunque vedere in Thellung soltanto un gentile estimatore della femminilità che, con squisita eleganza, con un innato senso del riserbo e della discrezione, sa variarne in mille modi la sempre identica immagine, e bearsi del garbo de-decorativo, della gioia cromatica, del senso dei movimenti armoniosi così rari nella pittura odierna. Ma crediamo di non aver tradito le intenzioni dell’artista cercando di additare il senso assai più profondo e problematico da cui quella gioia visiva scaturisce. Non per impedirne il fruimento, ma per renderlo più conscio e responsabile.

Albino Galvano

 

 

Il TEMPO

19 maggio 1973

Silhouettes di Thellung

«L’eterno femminino», scrive Albino Galvano del pittore Thellung, espositore oggi alla nuova Galleria Flegias. Un costume «demodé», una. sintesi «matissiana» che sa di ritaglio e talvolta di schema, un immagine raddoppiata, triplicata di donna che fa nello spazio cui si oppone e col quale si confonde un arabesco di gusto «liberty». I colori sono smaltati sulla tela grossa, ed hanno un’accensione simbolista. Salta a l’occhio l’idea del pittore, ch’è quella di risolvere in musicalità e in magia l’apparizione della forma. Tra le molte opere presentate ve n’ha di particolarmente felici; e sono quelle dove la «silhouette» della donna (della signora o signorina o diva) agevolmente asseconda o contrasta i ritmi verticali, orizzontali, gli schemi diciamo così alla Mondrian dell’ambiente; o quelle dove rientra in essi distruggendoli, identificandoli coi suoi profili e col suo fluido dinamismo. Da una parte hai l’inquietante ritratto doppio di Rossella Falk, il Ritratto di Tatiana; dall’altra invenzioni quali Patrizia, Aralda. Le fonti puoi trovarle, oltre che nelle eleganze grafiche dell’ «Art Nouveau» — qua e là crediamo, e perfino una cadenza lineare alla Modigliani — nell’accensione cromatica dell’Espressionismo. Da non escludere che a quel «sentimentale evocativo» si mescoli un pizzico di ironia. Non sappiamo quanto giovi all’immagine la lucentezza della materia; può darsi, diciamo, che certi accordi di rosse lacche e vermigli e aranci — caratteristici del pittore, i1 quale li ripete — acquisterebbero maggiore finezza espressiva nel tono rasciugato. Diamo atto al Thellung della eccentricità della sua posizione di fronte al problema formale ed a quello dei contenuti. Si vede ch’egli ha la sua precisa intenzione. Potrà in seguito mutare; ma intanto ha meditato la sua scelta.

Virgilio Guzzi

 

 

L’OSSERVATORE ROMANO

19 giugno 1973

Thellung alla Galleria Flegìas

Antonio Thellung, genovese, ma abitante a Roma, è un pittore autodidatta e quindi ha evitato persino l’odierno residuo di quanto, in anni che ormai sembrano lontanissimi, costituiva un vero e proprio insegnamento artistico. Si è esercitato in campo figurativo, si è guardato attorno, è rimasto attento alle Veronica - olio su tela cm 50 x 70comunicazioni e ai messaggi che, continui, partono da ogni direzione della vita quotidiana, e, riflettono sul gusto attuale e su ciò che ricorre comune, persistente nell’inconografia pubblicitaria (uno stimolo efficace, se poi si spoglia dell’intrinseca banalità), ha escogitato le sue sagome femminili dando loro una morfologia neoliberty nel nostro tempo accetta come antidoto alla tediosa del verismo, eccettuato quello fotoindustriali: nulla perciò di meccanico, di stampato in fretta e con indifferenza poiché il dipinto non è improvvisato bensì ha una preistoria in bianco e nero. Dunque questo filone espressivo, non soltanto sentito ma anche ponderato e sperimentato a studio da Thellung, doveva uscire fra il pubblico per un’opportuna conoscenza: il merito va alla Galleria Flegias sita nel quartiere fomentano, in Via Spalato 10.

Il pittore non prova interesse per il ritratto veristico della donna, ma per la sua figura schematica, appartenga a chiunque: dalla semplice conoscente alla persona dotata di rinomanza, essendosi affermata nella professione, come l’attrice Rosseiia Falk di cui annota, oltre all’aspetto elegante, le grazie corporee. D’altro canto, possiamo constatare, pure a livello subartistico, la scomparsa del verismo, eccettuato quello fotografico d’obbligo in certi manifesti che fanno leva sul sesso quale richiamo commerciale. La donna promossa artisticamente da Thellung è ridotta infatti ad un flessuoso profilo ora con una sommaria ma immediatamente caratterizzante (qui sta la difficoltà) configurazione del volto (Patrizia; Maria; Veronica; Gianna; Gloria; Jolanda, Tatiana, quest’ultima individuata dai soli occhi); ora con un ovale vuoto (Caterina; Gioia; Dolores; Ombretta; Aralda; Tatiana) ma privo di valore metafisico, anche subconscio, assolutamente estraneo ad un artista che, non ostante lo sottoponga ad una stenografica traduzione soggettiva, è attirato dal singolo mistero muliebre fascinosamente onnipresente.

Si lascia anzi persuadere, distaccando momento da momento, alla duplicazione e perfino alla triplicazione della medesima figura di donna talvolta con qualche variante negli atteggiamenti e nei colori di cappelli e vestiti, talaltra sempre identica, o anche avvicendantesi nuda e vestita, il taglio della forma è preciso, il colore campito omogeneo, sostanzioso, quantunque rifuggente dall’evidenza materica, è invece disteso in una lucidità simile alla lacca per fermare un’esistenza personale che, ripetuta lungo uno spazio appiattito, rende lo scorrere del tempo.

Gualtiero Da Vià

 

La fiera letteraria

17 giugno 1973

THELLUNG

Cosa mai s’occulti dietro questi volti bini e trini, ovvero quali misteri essi sottendano sarebbe difficile dire. Né, peraltro, ci soccorre l’affermazione dell’artista secondo cui l’intenzione «è quella di esprimere il sorriso e la speranza: non però un sorriso spensierato e incosciente, ma un sorriso in agguato, pronto a lottare per conquistarsi un posto». Insomma, «un sorriso che filtra attraverso il dramma e lo riscatta». L’assunto teoricoDolores - olio su tela cm 75 x 75 non sembra tuttavia coinvolgere gli esiti figurali: questi volti — dipinti da Antonio The llung, ora esposti nelle sale della galleria Flegias — lievitano infatti nella mestizia, anche se al di là del diaframma opaco dietro il quale silenziosamente vivono puoi forse intuire quel sorriso e quella speranza di. cui appunto l’artista è certo.

Comunque nelle figure muliebri in esame — molte delle quali pive di qualificazione fisionomica – noi ritroviamo invece solo una pena malinconica, una fonda tristezza umana: così la speranza non è neppure un fioco lume ed il sorriso non è davvero «in agguato». Del resto, la ripetizione costante dell’immagine e la loro monodica espressività so- stanziano in definitiva il nostro ragionamento e stanno a dimostrazione che la ieraticità di questi idoli femminili si raccoglie entro un alone senz’altro enigmatico: immobili, perfino assenti — manichini inverosimili di una realtà certo trascorsa — essi debbono dunque essere fuori del tempo, ed i loro nomi (Veronica, Aralda, Ombretta, Gioia, Maria, Tatiana, Mafalda) una pura ipotesi anagrafica del pittore.

Le figure risultano campite su netti fondi cromatici e vanno a stagliarvisi, emergendo, mettendo in risalto il contorno «aggraziato» di una linea sinuosa che qui peraltro fa tutt’uno col colore. Le istanze espressive sono da reperire nell’area fascinosa dell’Art Nouveau — con riferimenti, puramente ideali, a Aubrey Beardsley — ma Modigliani non appare comunque estraneo agli interessi del nostre artista (si veda in proposito il dipinto dal titolo «Gioia», assai indicativo). Ciò non vuole affatto dire che Antonio Thellung si impantani nel piatto epigonismo, si può anzi affermare che l’arte sua non resta mai succuba del dato di cultura, se mai attraverso questa egli rigenera un motivo essenzialmente fondato su una fantasia creatrice, che osserviamo limpida e autentica nei gioco delle forme come nella modulazione del colore.

C. Giacomozzi

 

IL GIORNALE DEL. MEZZOGIORNO 

12-19 luglio 1973

Antonio Thellung

Chi osservasse con occhio superficiale le tele di Antenio Thellung, esposte nella rassegna ordinata presso la Galleria Flegias, potrebbe incorrere facilmente nell’errore di considerarle alla stregua di un divertimento pittorico che solo si affidi alla seriale cifra di predisposte motivazioni miranti ad influenzare il fruitore delle opere con la originalità di una intelligente trovata.

E l’evidenza, a prima vista alquanto cartellonistica, delle sagomate definizioni compositive e dei balenanti colori potrebbe forse assecondare la sommarietà del giudizio.

con Giannetto FieschiMa, addivenendo ad una attenta disamina, non si tarda ad avvertire quanto determinante approfondimento di concetti e di proposte, e quanta sorvegliata abilità mestieristica siano alla base delle formali e cromatiche stilizzazioni attraverso cui l’artista perviene a codesta scandita figuralità di immagini essenzializzate nella iterazione di un ripetitivo percorso e variamente impaginantisi sulla superficie pittorica come le policrome componenti di un vivido intarsio.

Con geometrica precisione di impianto ed esatto calcolo tonale Thellung dà così bidimensionale misura ad un singolare repertorio di stagliate semplificazioni disegnative e di levigate coloriture unitariamente campite mediante le quali schematizza, nella maggiore sintesi di composizione e pertanto escludendo ogni elemento di dettaglio, figure femminili con le teste per lo più senza i tratti del viso e sovente aureolate da larghi cappelli, che, per un simultaneo moltiplicarsi della registrazione visuale, si doppiano, si triplicano con perfetta identità fisionomica e nella totale rispondenza delle positure, degli atteggiamenti.

Solo una parziale sovrapposizione di esse denota, nella ricorrenza del ritmico svolgimento iconografico, come un senso di corporea entità e stabilisce qualche possibilità di rapporto fra le diverse figurazioni.

Immagini di compositiva assolutezza metafisica e di ermetica significazione riposte nel carattere di intagliata emblematicità del loro aspetto, in cui è evidente un intenzionale risvolto psicologico volto a sostenere come non sia possibile stabilire nella personalità dell’uomo una precisa individuazione od una determinata singolarità e come ogni riconoscibilità divenga in essa irraggiungibile.
Ed è questo, senza dubbio, il nesso intorno al quale si articola il discorso figurativo di Antonio Thellung.

Vittorio Scorza

Vita

aprile 1973

Le donne di Thellung

Una nuova galleria è nata a Roma in quartiere popoloso e borghese, dalle parti di piazza Istria, a via Spalato: la galleria Flegias, arte contemporanea. Ormai le gallerie si sono sparse un po’ dappertutto a Roma, non più soltanto nel centro artistico di via del Babuino, via Margutta eccetera, segno questo che gli interessi degli appassionati e dei collezionisti si vanno facendo sempre più vasti e più intensi. Dopo una collettiva dedicata a 30 artisti italiani contemporanei, e dopo una personale del pittore parigino Jean Theobald Jacus, l’animatore della galleria Marco Mancini sta allestendo una personale di Antonio Thellung, un artista assai personale e originale.

Protagonista dei suoi quadri è la donna, il personaggio donna di oggi, sofisticato; consumista, elegante, alla moda, la donna come emblema di questo nostro tempo, scettico, caotico, lussuoso e cinico, fatto di sesso e di apparenza: Patrizia, Gianna, Gioia, Maria, Veronica, Dolores, Gloria, Ombretta, Aralda, donne che (scrive Elio Mercuri) «come angeli liberty si sdoppiano, perdono ogni attrazione di fiori e capelli e sensualità estenuata, apparizioni, divengono apparizioni di ombra»: Per quanto riguarda poi l’aspetto propriamente pittorico di Antonio Thellung, Albino Galvano sottolinea come «le nette campiture, che risolvono nel puro colore ogni accento plastico o chiaroscurale, s’inquartano in una singolare araldica di contrapposizione fra gli elementi rettilinei dell'ambieitazione spaziale e le cadenze sinuose delle figure stesse».

 

Il messaggero

23 maggio 1973

Thellung :

Le donne che Antonio Thellung ritrae nelle sue tele, esposte alla galleria d’arte Flegias, hanno sempre un nome ma spesso non hanno un volto. Si chiamano Caterina, Ombretta, Gioia. Dolores; dal loro viso però è scomparso ogni tratto riconoscibile. Resta l’ovale cieco, campito con una tinta piana e uguale. Eppure, se queste donne hanno un nome, si direbbe che anche i1 loro volto abbia una forma propria e inconfondibile. Il corpo, del resto, mostra le stesse caratteristiche del volto: una figura campita con una tinta chiara o scura, a seconda che la donna appaia nuda o vestita. Insomma le donne di Thellung sono altrettanti «portrait a la silhouette» però visti frontalmente anziché di profilo. E’ chiaro che all’artista non interessano tanto e donne in senso individuale, quanto «la» donna in senso generale. Ma non rinuncia alle sue varianti, che nel caso in questione possono essere identificate nel modo di acconciarsi, di atteggiarsi o dì vestire.

Gino Visentini

 

 

ADNKRONOS

8 maggio 1973

Da stasera personale del pittore Thellung.

Si inaugura questa sera presso la galleria romana ‘‘Flegias’’ una personale del pittore antonio thellung. Nato acon Rossella Falk Genova, ma romano di adozione, Thellung è giunto alla piena realizzazione della sua esperienza artistica dopo armi di ripensamenti.

Oggi a Roma, dove vive con la sua famiglia, il pittore ha allestito la sua quinta mostra, nella quale ha raccolto i più significativi dei suoi moltissimi dipinti. La sua pittura – come scrive in catalogo Albino Galvano – è dedicata all'eterno femminino, alla donna cioè, non solo in quanto fIsionomia, ma sopratutto come emblema di un carattere psicologico ben definito.

Nelle sue donne, che sono innanzitutto figure disindividualizzate, egli esprime il suo sorriso e la sua speranza, non però — precisa il pittore — un sorriso spensierato e incosciente, ma un sorriso in agguato, pronto a lottare per conquistarsi un posto. Un sorriso — sottolinea Thettung — che filtra attraverso il dramma e lo riscatta.

E dall'eterno femminino che per Thellung rappresenta — come sottolinea Galvano – un terna pittorico d’elezione, nascono Caterina, Maria, Gioja, Veronica, Gianna, Dolores, Ombretta, Aralda, Jotanda e tante altre.

Non c’è spazio per l’illusione, scrive il critico Elio Mercuri in catalogo a commento della pittura di Thellung, «è per questo — precisa Mercuri – che l’artista ha rinunciato a tante certezze per questa certezza di vivere in un mondo di. figure fissate per sempre». Per sempre, infatti, nella Linea e nel colore, le sue figure appaiono fissate.

 

Momento Sera

7/8 maggio 1973

Rossella nuda e vestita

Rossella Falk è stata ritratta da Antonio Thellung in maniera originalissima e cioè in «doppio»: nuda e vestita, come due gemelle, sotto lo stesso capellone alla Raffaello. Non c’è dubbio che la mostra di Thellung avrà gran successo e che saranno molte le ordinazioni di ritratti dopo tutto quel che si parlerà di Maria, Gioia, Mafalda, Ombretta, Aralda, Veronica, Gianna, talvolta ritratte in «doppio» come Rossella e talaltra addirittura in triplo come Aralda. La mostra di questi dipinti si inaugura domani in una galleria di Piazza Istria, un posto quanto mai anomalo per una galleria, ma dove in compenso si trova da parcheggiare. Si sa già che ci saranno Maria Camilla Pallavicini, Armandino Diaz, Paolo d’Espagnet, Rossella Falk e tutti i gran nomi piemontesi-genovesi con i quali Antònio Thellung è imparentato, oltre ai critici Elio Mercuri e Albino Galvano.

 

Arti e Lettere

Rubrica televisiva – RADUNO 10 maggio 1973 ore 14

 

Un artista del nostro tempo come Antonio Thellung, che ora espone a Roma, trae i suoi motivi di ispirazione da figure mulìebri che danno, pur nella loro essenzialità, il senso degli anni trenta. E sono donne che si ripetono, come emblemi di un mito: donne senza un volto e quindi irraggiungibili come un'idea astratta.

Cosa vuol dire ciò? Che Thellung ripropone i miti dell'amore e della femminilità, cioè della gioia di vivere, in un tempo che sembra respingerli. Ma facendolo avverte la propria solitudine, il suo difficile compito. E allora le sue immagini si proiettano nel passato, diventano nostalgia, contorni di una realtà che è possibile soltanto guardare dietro un vetro.

Luciano Luisi

 

FUTURISMO = ARISTOCRAZIA

14 maggio 1973

Le espressioni della femminilità nelle opere di Thellung

Giulietta - olio su tela cm 40 x 50La pittura di Antonio: Thellung — nato a Genova nel 1931, ma romano dì adozione — è rivolta prevalentemente a mostrarci le varie espressioni della femminilità che l’artista ha fissato sulle tele esposte alla Galleria d’Arte Flegias di Roma. Sono volti di giovani donne appena sagomati che non hanno nulla il oleografico, di decorativo, bensì riflettono il loro carattere a volte serio, severo, altre gaio e sinuoso tanto meglio quando fissati su un’unica tela ne duplica o triplica la medesima posizione, senza concedere nulla al dettaglio per poter raggiungere la massima sintesi con una perfetta armonia cromatica tale da conferire all’artista una sua ben distinta singolarità. Ma non riteniamo giovi indugiarci sulla ispirabilità di codeste immagini in Thellung: preferiamo che egli stesso le chiarisca. «Gran parte della pittura d’oggi tende a rispecchiare gli aspetti estremamente drammatici del mondo in cui viviamo, cerca cioè, in vari modi, di far la cronaca visiva del dramma umano Se la mia pittura è diversa non è perché io voglia estraniarmi da questo: al contrario la mia intenzione è quella di esprimere il sorriso e la speranza. Non però un sorriso spensierato e incosciente, ma un sorriso in agguato, pronto a lottare per conquistarsi il posto. Un sorriso che filtra attraverso il dramma e lo riscatta».

Del resto i due critici che presentano Thellung nel catalogo, sia Elio Mercuri che Albino Galvano, quest'ultimo con maggiore precisione introspettiva, esaminano gli aspetti più salienti e originali dell’artista già noto in Italia e all’estero essendo in possesso di una estesa bio-bibliografia.

Luigi Scrivo

 

Momento Sera

16-17 maggio 1973

In sintesi ecco il giudizio dato sulle opere di Antonio Thellung, il pittore che espone con grande successo (fino al 28 corrente) in una galleria di via Spalato: «Un artista del nostro tempo che trae i suoi motivi di ispirazione da figure muliebri che danno, pur nella loro essenzialità, il senso degli anni trenta. E sono donne che si ripetono, come problemi di un mito, donne senza volto e quindi irraggiungibili come un’idea astratta. Questo vuol dire che Thellung ripropone i miti dell’amore e della femminilità, cioè della gioia di vivere, in un tempo che sembra respingerli. Ma facendolo avverte la propria solitudine, il suo difficile compito, e allora le sue immagini si proiettano nel passato, diventano nostalgia, contorni di una realtà che è possibile soltanto guardare dietro un vetro». I richiamo all’eterno femminino di questo autore ha richiamato nel giorno dell’inaugurazione donne bellissime che hanno sostato a lungo davanti ai quadri dell’artista come per una sfida tra realtà e immaginazione.

Naturalmente il più felice era Thellung che nella circostanza deve aver certamente fissato nella sua sensibilità nuove immagini per le sue opere più riuscite. Il taccuino del cronista ha annotato anche i nomi di Gian Luigi Rondi; dei critici Elio Mercuri, Sandra Orienti; dei pittori Giannetto Fieschi, Eva FIscher, Kader Houmel, Guido Razzi, Luciano Damiani, Virgilio Cassio, Giovanni Bartolomucci, Godwin Richard, Maurizio de Rosa, Joiò Gallo; gli scultori Nuccio Fontanella, Silvana Celletti, Gino Goammei; i poeti romaneschi Giacomo Palmiro Bompadre, Umberto Orlandi Tra l’elegante pubblico anche il principe e la principessa Cenci Bolognetti di Vicovaro, il principe e la principessa Altieri, il conte Vernieri, il conte e la contessa Pollastrelli, il marchese e la marchesa Gomez y Paloma dell'Olivera, la marchesa Malvezzi Campeggi, la Marchesa del Caretto, la Contessa Bianchi Ninni, il Marchese Masetti Zannini de Concina e il campione automobilistico Piero Taruffi.

 

Il Giornale d'Italia

18/19 maggio 1973

Rossella uno e due

Rosella Falk è scesa in città dalla sua villa di Zagarolo per assistere alla vernice di Antonio Thellung alla galleria Flegias. Vi è esposto un ritratto che la raffigura; grande un metro per ottanta centimetri. Rappresenta due Rosselle, una, vestita di grigio, ed una, parallela, nuda.

Molti gli intervenuti, tra cui, i pittori -Giannetto Fieschi, Eva Fischer, Kader Houmel, Guido Razzi, Luciano Damiani, Virgilio Cassio, Giovanni Bartolomucci, Godwin Richard, Maurizio de Rosa, Joiò Gallò; gli scultori Nuccio Fontanella, Silvana Celletti, Gino Goammei; i poeti romaneschi Giacomo Palmiro Bompadre, Umberto Orlandi, il principe e la principessa

Cenci Bolognetti di Vicovaro, il principe e la principessa Altieri, il conte Vernieri, il conte e la contessa Pollastrelli, il marchese e la marchesa Go- mez y Paloma dell’Olivera, la marchesa Malvezzi Campeggi, la marchesa del Caretto, la Contessa Bianchi Ninni, il Marchese Masetti. Zannini de Concina e il campione automobilistico Piero Taruffi.

Alina Mita

 

    studio x il ritratto di Rossella Falk   studio per il ritratto di Rossella Falk   studio per il ritratto di Rossella Falk   Studio - olio su tela cm 20 x 23

 

Il Popolo

20 maggio 1973

Thellung

Non ritratti, ma sagome di donne, nella ricerca di restituirne, nelle compendiarie apparenze esteriori non tanto l’empito affettivo, ma la componente più pungente ed ambigua. E infatti la pittura di Antonio Thellung, alla galleria Flegias, fa perno appunto sulla ambiguità: di sostanza e di apparenza, di presenza sfuggente e di consistenza implacabile. Quasi mai una figura singola, ma quasi sempre sdoppiata o triplicata, uguale e diversa da sé, radunata sotto l’ala di un unico, inverosimile cappello o di una sola campitura, oppure lasciata nell’ambiguità bivalente e dicromica, nella fluidità scontornata ma esatta degli schemi figurali, a provocare, soltanto mediante gli incastri e le sfalsature di colore, la percezione dei piani. Prosciugata di ogni apparenza sensoriale, l’immagine femminile delineata da Thellung potrebbe anche rischiare di circoscriversi in una sigla di abili situazioni pittoriche; ed è appunto l’approfondimento del suo lavoro che, nel suo evolversi, può smentire la possibilità di questa evenienza.

Sandra Orienti

 

Avanti!

19 luglio 1973

Antonio Thellung

Un pittore autodidatta, genovese di nascita, Antonio Thellung, espone numerose tele recenti alla galleria Flegias in via Spalato. C’è un ritratto di Rossella Falk e ci sono altri molteplici ritratti femminili, in cui l’artista deponendo ogni intenzione di verosimiglianza col personaggio, riduce la figura ad una studiata euritmia di linee e di zone cromatiche, arrivando talvolta ad un tipo di stilizzazione sommaria, che potremmo includere nelle manifestazioni oggi non del tutto attuali del novecentismo.

Studiata ed elaborata formalmente, volta ad un certo orecchiato astrattismo delle sagome naturaliste, la pittura di Thellung ha fatto parlare ad Albino Galvano (il presentatore in catalogo) di eterno femminino, per un contenuto che si può definire come «una presenza essenziale per l’umanità rinnovata nella gioia e, come tale, per Thellung, un tema pittorico d’eccezione».

Sandra Giannattasio

 

BOLAFFIARTE

Lazio artisti '73

In una linea di ricerca estremamente personale, Antonio Thellung propone un'immagine che è sempre simulacro di metamorfosi e trova sempre un suo magico fascino.

Posta al limite dell'estinzione l'immagine rivela la sua natura poetica, di realtà non più esterna ma di relazione con sé, con una propria emozione e un proprio tempo.

La vita è silenzio. E la pittura è comunicazione in questa atmosfera senza parole.

Elio Mercuri

 

IL TEMPO

16 maggio 1973

Prosegue con successo di pubblico, di critica e di vendita la mostra personale di Antonio Thellung, inauguratasi l’8 maggio. La mostrà è stata visitata da numerose personalità del mondo artistico e cuiturale la danza - olio su tela cm 100 x 100della Capitale, fra cui Rossella Falk, Gian Luigi Rondi, Virgilio Guzzi, Elio Mercuri, Sandra Otienti, il sen. Simone Gatto, Giannetto Fieschi, Eva Ficher, Houamel, Raffi, Damiani, Celletti, Cassio, Fontanella, Bartolomucci, JòJò Gallo, e i poeti romaneschi Giacorno Palmiro Bompadre ed Umberto Orlandi. Inoltre il principe e la principessa Cenci Bolognetti di Vicovaro, il principe e la principessa Altieri, il conte Vernieri, Il conte e la contessa Pollastrelli, la marchesa Malvezzi, la marchesa del Carretto, la contessa Raidini-Tedeschi, la contessa Giannini Guazzugli, il marchese Masetti Zannini de’ Concina, il marchese e la marchesa Gomez y Paloma dell’Olivera e tante altre personalità che non è possibile citare per ragioni di spazio.

La rubrica televisiva «Arti e Lettere» di giovedì 6 maggio ha dedicato un ampio servizio all’avvenimento ed ha così definito la pittura di Thellung: «un artista del nostro tempo, che trae i suoi motivi di ispirazione da figure muliebri che danno, pur nella loro essenzialità, il senso degli anni '30. E sono donne che si ripetono come emblemi dì un mito, donne senza volto e quindi irraggiungibili come, un’idea ‘astratta. Cosa vuol dire ciò? che Thellung ripropone i miti dell’amore e della femminilità, cioè della gioia di vivere, ma in un tempo che sembra respingerli. Ma facendolo avverte la propria solitudine, il suo difficile compito. E allora le sue immagini si proiettano nel passato, diventano nostalgia, contorni di una realtà che è possibile soltanto guardare dietro un vetro». La mostra continua.

 

Borsa d'arte

luglio 1973

Alla Flegias le eleganti, iterate, silouettes femminine di Antonio Thellung. «La vita è fuori dal tempo e l’immagine non può che venire sottratta al tempo e allo spazio. Non ha una sua spazialità, se non in quanto negazione e assenza. Ripetizione che non può più avvenire e conservarci ‘illusione che essa è, e nel divenire permane una sua continuità...». Questo, fra l’altro, commenta Elio Mercuri sulla ricerca del Thellung nella sua presentazione a catalogo di mostra. E a tale dire, e fronte a codeste rarefatte, estenuate immagini muliebri si viene presi, come per magia, a rivivere atmosfere gozzaniane; o a sospirare i versi di Pedro Salinas: «Ciò che vedo di te, corpo, è ombra, inganno. La tua anima è andata là, ove sarai domani. Questa sera mi offre ancora false garanzie, sorrisi vaghi, gesti lenti; un amore già distratto». Etcetera, etc.

Antonio Camarca

 

PAESE SERA

19 maggio 1973

Ombretta - clio su tela cm 40 x 50Prosegue con succesio di pubblico e di critica la Mostra Personale di ANTONIO THELLUNG. Hanno visitato la Mostra numerose personalità del mondo artistico e culturale delle Capitale, fra cui: Rosseila Falk, Gianluigi Rondi, Elio Mercuri, Sandra Orienti, Virgilio Guzzi, Simone Gatto, Il campione automobilistico Taruffi. La rubrica televisiva Arti e Lettere di giovedì 10 maggio ha dedicato un ampio servizio all'avvenimento e ha così definito la pittura di Thellung: «Un artista del nostro tempo che trae i suoi motivi di ispirazione da figure muliebri che danno, pur nella loro essenzialità, il senso degli anni Trenta. Sono donne che si ripetono, come emblemi di un mito, donne senza volto e quindi irragiungibili. Cosa vuol dire ciò? che Thellung ripropone i miti dell’amore e della femminilità, cioè della gioia di vivere, in un tempo che sembra respingerli, ma facendolo avverte la propria solitudine. E allora le sue Immagini si proiettano nel passato, diventano nostalgia, contorni di una realtà che è possibile soltanto guardare dietro un vetro».




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